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martedì 26 giugno 2018

Buon compleanno, Paolo Maldini

Illustrazione di Kieran Carroll

Al più giovane esordiente della storia del Milan, a 16 anni e 208 giorni, poi diventato il giocatore con più presenze nel club rossonero: 902.

A colui che è il milanista ad aver giocato più partite in Champions League (139) e il record-man di finali della competizione: 8.

A chi ha iniziato da ragazzino la carriera con la maglia della sua squadra del cuore, finendo per stabilire il record di presenze (647) e di stagioni (25) in Serie A con addosso ancora quella stessa maglia.

A chi guarda l'assenza dell'Italia ai Mondiali con la consapevolezza di aver inciso il nome di un italiano nella storia della competizione, in qualità di detentore del record assoluto di minuti giocati: 2.216.

A chi ha vinto:

7 Scudetti;
5 Supercoppe Italiane;
1 Coppa Italia;
5 Coppa dei Campioni / Champions League;
5 Supercoppe Uefa;
2 Coppe Intercontinentali;
1 Mondiale per Club.

A un'icona, una leggenda, un esempio.
A uno dei più forti difensori della storia del calcio.
A uno dei migliori sportivi italiani di sempre.
A una di quelle figure che nessuna fede calcistica può tenere lontano dal cuore di ogni sano appassionato di sport.

A Paolo Maldini, tanti, tantissimi auguri di buon compleanno.

venerdì 22 giugno 2018

O Ney-marcatore

Oggi, contro la Costa Rica, Neymar ha realizzato il suo primo goal ai Mondiali di Russia. Una rete semplice, segnata a pochi metri dalla porta sguarnita. Non una marcatura banale, però. Infatti, si tratta del goal numero 56 di "O Ney" con addosso la maglia del Brasile. Una rete grazie alla quale l'attaccante del Paris Saint-Germain ha superato Romario, diventando il terzo miglior marcatore di sempre della Seleção.

Neymar ha raggiunto lo storico traguardo dopo appena 87 gare disputate con la sua Nazionale. Ciò significa, che ha segnato 0.64 goal di media a partita. Uno score quasi identico a quello della leggenda che lo precede: Luis Nazario de Lima, per tutti Ronaldo, col Brasile ha segnato 62 goal in 98 match (0.63 a partita). Una sola rete li separa e tutto lascia presagire che possa arrivare già in questa edizione dei Mondiali.

A precedere entrambi, però, rimane il leader incontrastato della classifica all-time: Pelé, autore di 77 reti in 92 gare (0.84 di media a partita). O Ney, ancora 26enne, ha dalla sua la possibilità di giocare molte partite con la Seleção. Con una lunga carriera davanti a sé, Neymar ha tutte le carte in regola per finire da primatista assoluto.

Intanto, godetevi questo video con le prime 50 reti della stella brasiliana. Troverete diversi goal degni delle leggende che lo precedono in classifica marcatori (e che sono destinate a fare spazio al sorpasso dell'astro carioca).





#DAM

lunedì 18 giugno 2018

Frosinone: neopromossa o neoretrocessa?


Battendo il Palermo per 2-0, il Frosinone si è guadagnato la promozione in Serie A. Assieme a Parma ed Empoli, i ciociari inizieranno la stagione 2018-19 con lo status di neopromossa. Cinicamente, però, ci sarebbe un altro modo di definire la squadra allenata da Moreno Longo, ovvero "neoretrocessa". Sì, perché la compagine che conquista un posto nella massima serie passando per i playoff, generalmente, retrocede dopo appena una stagione in A.

Lo evidenzia la tabella sottostante, relativa al rendimento in Serie A delle squadre neopromosse negli ultimi 10 anni:

- in rosso appaiono le squadre che sono tornate subito in B;
- in arancione quelle che hanno superato la stagione da matricola ma sono retrocesse l'anno successivo;
- in giallo quelle che hanno lasciato la massima serie allo scadere del triennio in A.


Il nome delle squadre, suddisive in base alla posizione con cui hanno ottenuto la promozione, è invece di colore nero se hanno scongiurato l'"effetto ascensore".




Il campione decennale permette di fare alcune constatazioni. Per la prima basta consultare le righe della tabella, anno per anno, e notare la costante presenza di nomi colorati. Nelle ultime 10 stagioni di Serie A, infatti, almeno una delle tre neopromosse ha sempre fatto ritorno nella serie cadetta. Un dato rilevante, considerando che - in quest'arco temporale - quello italiano è l'unico dei principali campionati europei in cui non si sono mai salvate tutte le neopromosse: in Francia è successo una volta, in Inghilterra due, in Spagna quattro e in Germania cinque.

Analizzando più nel dettaglio il campione riportato dalla tabella, risalta il rosso dominante della colonna relativa ai playoff. Come accennato in precedenza, le compagini dell'ultima colonna faticano molto a difendere il diritto di militare nella massima serie: negli ultimi 10 anni in ben 8 casi la squadra uscente dai playoff è retrocessa. Un altro dato preoccupante, a sostegno di chi ritiene che il numero delle neopromosse alla Serie A andrebbe ridotto, magari parallelamente a quello delle partecianti al campionato.

Ma la tabella, in realtà, suggerisce che il discorso relativo al passaggio da "neopromossa" a "neoretrocessa" non riguarda solo chi strappa il biglietto per la Serie A grazie alla post-season. Infatti, anche 12 dei 20 nomi presenti nelle colonne di prime e seconde della classe sono colorati. Il totale, relativo alle ultime 30 squadre presentatesi in A da neopromosse recita: 12 retrocesse al primo anno, 5 al secondo e 3 al terzo. Per cui, 20 delle 30 squadre sono state coinvolte: se almeno una torna subito in Serie B, di media, ce n'è un'altra che la emula - al massimo - nell'arco di tre stagioni. Generalmente, quindi, in un triennio si esaurisce l'esperienza di due terzi di ogni trio.

Lo conferma anche il grafico interattivo sottostante, che raccoglie i piazzamenti in Serie A, a partire da quando hanno lasciato la B, di tutte le neopromosse degli ultimi 10 anni. La prima schermata, accorpando il rendimento di 30 squadre, risulta di difficile lettura, ma scorrendo le annate dalla parte superiore del grafico è possibile consultare i vari posizionamenti e cogliere qualche spunto interessante.



L'analisi delle posizioni ottenute dalle neopromosse italiane evidenzia le enormi difficoltà di quest'ultime e marca la distanza con i principali campionati europei. Ad esempio, la Serie A è il campionato con più squadre che hanno ottenuto due promozioni negli ultimi 10 anni: ben 6 bis (record ex aequo con la Premier League, uno in più della Ligue1, due in più di Bundes e Liga). Ciò significa che, dopo il più o meno immediato ritorni in B, l'effetto ascensore le ha riportate in A in poco tempo. Ma in 5 casi neppure al secondo tentativo queste squadre sono riuscite a confermare la propria partecipazione alla massima serie.

E se è risultato così difficile rimanere in Serie A, lo è stato maggiormente affermarsi a un livello più alto. Lo confermano i dati relativi alle squadre che hanno chiuso nella top 10 l’anno da matricola. In Italia, infatti, in appena due delle ultime dieci stagioni le neopromosse hanno varcato il confine della parte destra della classifica (il Bari e il Parma nel 2009-10, l’Hellas Verona nel 2013-14). Anche in questo caso si tratta del dato più basso tra le principali leghe, in cui negli ultimi anni ci sono state neopromosse che si sono qualificate per l’Europa League o addirittura per la Champions.

A questo punto l’analisi interna lascia più ombre che luci e il benchmarking europeo acuisce l’oscurità. Risulta, pertanto, necessario provare a interpretare queste constatazioni statistiche. Una prima deduzione, la più semplice, è che tra la A e la B ci sia un gap piuttosto ampio che le neopromosse patiscono particolarmente. Tale divario tecnico, difficile da colmare, probabilmente è legato anche alle differenze relative agli introiti tra le due categorie. Chi si affaccia alla Serie A, lo fa partendo da una posizione di subalternità rispetto alle società già consolidate nella massima competizione.  


Soprattutto dal punto di vista economico, perché i risultati di bilancio risentono dei risultati sportivi. Così, la rosa che conquista la promozione (che già di per sé spesso è insufficiente) non di rado si impoverisce perché squadre con potere d’acquisto superiore si rinforzano prendendo i migliori talenti delle neopromosse. E a volte l’organico viene ridimensionato anche senza cessioni, perdendo i giocatori in prestito che vengono richiamati alla base. Non a caso, il valore di mercato minimo tra le 20 squadre della massima serie A è generalmente di una società proveniente dalla Serie B


La disparità di introiti tra le due categorie fa sì che alle neopromosse spesso non resti che vendere i calciatori valorizzati, giovarsi dei più lauti diritti tv della A e tornare in Serie B. In questo viaggio di ritorno, però, subentra il bonus del paracadute finanziario. Si tratta di una somma complessiva, che può arrivare a 75 milioni di euro, da spartire tra le retrocesse in base agli anni di permanenza nella massima serie. Un meccanismo che, in teoria, permetterebbe di ammortizzare i minori ricavi garantiti dalla B e favorire il ritorno immediato in A. Quest’espediente, però, a voler pensar male pare uno dei motivi per cui le neopromosse non fanno grandi sforzi per provare ad affermarsi in Serie A. 


I risultati precedentemente descritti suggeriscono che per molte squadre la promozione sia un traguardo da cui monetizzare subito, accettando anche di retrocedere per poi riprovarci dopo un anno, magari rinnovando il gruppo. Per le piccole società il salto di categoria è problematico perché per allestire una rosa competitiva occorre aumentare il monte ingaggi complessivo e fare acquisti all’altezza. Non tutte sono in grado di farlo. Infatti, le poche squadre che negli ultimi anni sono riuscite a consolidare il proprio progetto dopo la promozione in A sono il Chievo di Campedelli, l’Atalanta di Percassi e il Sassuolo di Squinzi. Ovvero proprietà economicamente forti, capaci di rinforzare la rosa e investire le cifre che richiede la massima serie. Per queste società, la promozione ha segnato una tappa importante di un processo di crescita ambizioso. Per molte altre, soprattutto negli ultimi anni, si è trattato invece solo di un’esperienza fugace (per la gioia di Claudio Lotito).


L’ultima constatazione sembrerebbe fornire un assist a coloro che sostengono l’avvento di un calcio con sbarramento all’americana, in cui può partecipare ai tornei professionistici solo chi possiede coperture, finanziarie e di pubblico, oltre che stadio di proprietà e altri asset. Se così fosse, avrebbero accesso alla Serie A solo una parte delle squadre che sudano in B per guadagnarsela. Probabilmente non è la soluzione migliore, di certo non la più meritocratica, per quanto coerente con le difficoltà che il salto di categoria impone. Senza dubbio, però, l’applicazione di regole più stringenti riguardo al piano economico e alla disponibilità di strutture adeguate permetterebbe di migliorare il livello della Serie A. 


Così come, probabilmente, con due categorie da 18 squadre e, quindi, meno retrocessioni e promozioni (o spareggio tra terz’ultima di A e terza di B, come avviene in Germania) si potrebbe vedere una Serie A maggiormente equilibrata. Accogliere in A squadre “nate morte” o già agonizzanti significa, infatti, allargare la forbice tra testa e coda della classifica e, quindi, abbassare il livello della competitività. In tal senso, andrebbe ripensata anche la ripartizione dei diritti tv e degli introiti in generale. Pena l’appiattimento del valore, sportivo e non, del nostro campionato e del movimento calcistico italiano.

#DAM 

sabato 9 giugno 2018

Co-MVP


Per il secondo anno consecutivo, Kevin Durant è stato eletto MVP delle NBA Finals. Una doppiettina da nulla. Infatti prima di lui il back-to-back era riuscito solo a Michael Jordan (tris dal '91 al '93 e dal '96 al '98), Hakeem Olajuwon ('94 e '95),  Shaquille O'Neal (tris dal 2000 al 2002), Kobe Bryant (2009 e 2010), LeBron James (2012 e 2013). Come dire, "benvenuto nell'Olimpo, Kevin".

Un bis meritato: nella serie contro i Cavs, Durant è stato un martello costante sulla difesa di 'Bron e soci. Un bis che, però, di sicuro non avrà fatto felice Steph Curry. Il numero 30 dei Warriors, infatti, non ha mai vinto il premio intitolato a Bill Russell e quest'anno lo avrebbe senz'altro meritato. Tra le medie tenute da Durant e le sue non c'è stata, di fatto, molta differenza.




Curry ha disputato le migliori Finals della sua carriera, realizzando oltre 5 triple a partita nelle 4 gare in cui Golden State ha schiacciato i Cavs. Il totale dei suoi canestri da 3 nei Playoff NBA è così arrivato a 378: appena 7 in meno di Ray Allen, primatista all-time, che ha però disputato quasi il doppio delle partite (171 a 90). All'ex, tra gli altri, di Celtics e Heat Steph ha strappato già due record nel corso di queste Finals: le 9 triple messe a segno in Gara 2 l'hanno reso il miglior realizzatore da 3 punti in una singola gara e, contemporaneamente, il giocatore più prolifico di sempre da dietro l'arco in una serie finale.


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Record impressionanti. Del resto, nonostante una prova di basso livello in Gara 3 (11 punti, con il 10% da 3, il 18% dal campo e 0 di +/-), nelle altre partite è sempre stato Curry il capocannoniere di GSW: 29 punti in G1, 33 in G2 e 37 in G4. Nelle prime due sfide, inoltre, ha anche realizzato più assist di Durant. Ma non è bastato. In ogni caso, grazie al contributo dei suoi due Co-MVP, Golden State ha surclassato gli avversari nel corso dei playoff, mettendo complessivamente fra sé e i rivali un totale di 210 punti. Si tratta del terzo differenziale di ogni epoca e il primo è stato stabilito sempre da loro l'anno scorso: 230.

Un ruolino di marcia impressionante, che acquisisce connotati incredibili se si tengono in considerazione anche i record registrati nella regular season da questa squadra. Dal 2015 a ora Golden State ha vinto 207 delle 246 partite disputate, ovvero l'84%. Nelle ultime tre stagioni, il record complessivo dei Warriors tra regular e post-season è di 328 gare vinte e appena 83 perse: un netto 79.8% di vittorie che supera anche il 75.8% registrato dai Chicago Bulls di Michael Jordan nel three-peet chiuso tra il 1995 e il 1998.

Dati che certificano l'entrata di questa dinasty nella storia della NBA. Qui , se volete, ne trovate altri. Intanto, complimenti anche a Steve Kerr, al suo ottavo titolo NBA: dopo i cinque da giocatore ne sono arrivati tre da allenatore.

C'è poco da dire: stiamo assistendo alla Storia del Gioco.

#DAM

giovedì 7 giugno 2018

Bomber mondiali



Esattamente tra una settimana inizierà Russia 2014, edizione numero 21 del Campionato Mondiale di Calcio. Un torneo che promette bene, visti i talenti che scenderanno in campo. A confermare questa aspettativa c'è un dato molto interessante: ben 10 delle 32 squadre che prenderanno parte al torneo hanno tra i convocati il miglior cannoniere della loro storia.



Tra i marcatori all-time spiccano, manco a dirlo, i nomi grossi di Re Cristiano I da Madeira e quello del suo socio nell'abbattimento di ogni record possibile, Leo Messi. Assieme a loro, altri 8 temibili attaccanti, più o meno noti. Ma chi è il membro della cricca con la miglior media goal a partita? Questo è l'ordine:

1) 0.56 Robert Lewandowski (52 goal in 93 gare)
2) 0.54 Cristiano Ronaldo (81 goal in 149 gare)
3) 0.52 Luis Suarez (50 goal in 97 gare)4) 0.51 Leo Messi (64 goal in 124 gare)
5) 0.49 Romelu Lukaku (33 goal in 67 gare)
6)
0.49 Javier "Chicharito" Hernandez (49 goal in 100 gare)
7)
0.48 Tim Cahill (50 in 105 gare)
8
) 0.41 Luis Tejada (43 goal in 105 gare)
9) 0.40 Radamel Falcao (29 goal in 71 gare)
10) 0.38 Paolo Guerrero (33 goal in 87 gare)

Ahinoi, l'Italia in Russia non ci sarà. Non ci resta che goderci le gesta di questi signori che, a suon di goal, hanno conquistato un posto nella storia delle rispettive nazionali. Tutto sommato poteva andarci peggio.
Il discorso sui presenti in Russia va, invece, messo da parte se ci si vuole soffermare sui migliori marcatori della competizione. E noi vogliamo farlo.

Il Re della classifica marcatori dei Mondiali è Miroslav Klose. Il tedesco nella scorsa edizione è riuscito a scavalcare Ronaldo, segnando il secondo dei 7 goal con cui la sua Germania ha demolito il Brasile nella semifinale del "Mineirazo". Appena due delle firme delle reti della Germania vittoriosa furono sue, ma il totale dice 16. Ovvero il massimo registrato fino ad ora.Nonostante ne risulti un vincitore, nel '94 in USA Ronaldo non segnò neppure una rete, mentre nelle altre edizioni a cui ha preso parteO Fenomeno" ha sempre lasciato il segno. A volte lo ha scolpito nella roccia. Ad esempio nel 2002, quando da capocannoniere trascinò i verdeoro al loro quinto trionfo, cancellando la delusione patita 4 anni prima e mettendo la firma sul suo secondo Pallone d'Oro.

Klose e Ronaldo, a cavallo tra il 1998 e il 2014, hanno replicato quanto fatto vedere tra il 1958 e il 1974 da due loro iconici connazionali: il capocannoniere (ma solo medaglia di bronzo) di Mexico 70 Gerd Muller e
il tre volte iridato Pelé, rispettivamente autori di 14 e 12 marcature.

Klose, Ronaldo, Muller e
Pelé hanno una cosa in comune: la vittoria di almeno un Mondiale. Infatti, l'unico giocatore della top 5 dei bomber a non aver mai alzato la coppa è il francese Just Fontaine. Il tre volte Campione di Francia col Reims (1958, 1960, 1962) e due volte capocannoniere della Ligue 1 (34 goal nel 1957-58 e 28 nel 1959-60), è il detentore del record di marcature in una singola edizione, avendo realizzato la bellezza di 13 reti in appena 6 gare nel 1958. Quello, però, fu l'unico Mondiale che giocò (arrivando terzo con la Francia), poiché fu costretto dai continui infortuni a ritirarsi nel 1962, a soli 29 anni.

Tra i presenti a Russia 2018 ci sarà, però, Thomas Muller. Il tedesco è a quota 10 reti nei Mondiali, avendo segnato 5 goal sia nel 2010 che nel 2014. Considerando che avrà questo e, forse, un altro Mondiale a disposizione, la scalata della classifica marcatori all-time potrebbe essere alla sua portata. Stiamo a vedere, tanto manca poco. Per fortuna!

#DAM