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sabato 7 luglio 2018

Questione di testa

Illustrazione di Emilio Sansolini
L'Inghilterra sta avanzando nel Mondiale un colpo di testa alla volta: ben 5 degli 11 goal segnati fino ad ora dagli inglesi sono arrivati grazie alle capocciate di Harry Kane (2), John Stones (1), Harry Maguire (1) e Dele Alli (1). Nessuna squadra ha fatto meglio a Russia 2018, fino ad ora. Un record a cui ne segue un altro.

Nello specifico, infatti, ben 4 delle 5 reti realizzate di testa sono arrivate su calcio d'angolo. Quelle di oggi contro la Svezia hanno trasformato in goal gli unici due tiri in porta dell'Inghilterra. Una dimostrazione dell'importanza di questa specializzazione degli inglesi.

L'Inghilterra è una squadra dalle spiccate fisicità e solidità. Diversi giocatori superano i 185cm e sono capaci di sfruttare al meglio le situazioni da palla ferma. Un asso nella manica che può davvero far sì che sia la volta buona che... "It's coming home".

Stiamo a vedere. Per ora gli inglesi sono tornati in semifinale dopo 28 anni e non è poco!



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martedì 26 giugno 2018

Buon compleanno, Paolo Maldini

Illustrazione di Kieran Carroll

Al più giovane esordiente della storia del Milan, a 16 anni e 208 giorni, poi diventato il giocatore con più presenze nel club rossonero: 902.

A colui che è il milanista ad aver giocato più partite in Champions League (139) e il record-man di finali della competizione: 8.

A chi ha iniziato da ragazzino la carriera con la maglia della sua squadra del cuore, finendo per stabilire il record di presenze (647) e di stagioni (25) in Serie A con addosso ancora quella stessa maglia.

A chi guarda l'assenza dell'Italia ai Mondiali con la consapevolezza di aver inciso il nome di un italiano nella storia della competizione, in qualità di detentore del record assoluto di minuti giocati: 2.216.

A chi ha vinto:

7 Scudetti;
5 Supercoppe Italiane;
1 Coppa Italia;
5 Coppa dei Campioni / Champions League;
5 Supercoppe Uefa;
2 Coppe Intercontinentali;
1 Mondiale per Club.

A un'icona, una leggenda, un esempio.
A uno dei più forti difensori della storia del calcio.
A uno dei migliori sportivi italiani di sempre.
A una di quelle figure che nessuna fede calcistica può tenere lontano dal cuore di ogni sano appassionato di sport.

A Paolo Maldini, tanti, tantissimi auguri di buon compleanno.

venerdì 22 giugno 2018

O Ney-marcatore

Oggi, contro la Costa Rica, Neymar ha realizzato il suo primo goal ai Mondiali di Russia. Una rete semplice, segnata a pochi metri dalla porta sguarnita. Non una marcatura banale, però. Infatti, si tratta del goal numero 56 di "O Ney" con addosso la maglia del Brasile. Una rete grazie alla quale l'attaccante del Paris Saint-Germain ha superato Romario, diventando il terzo miglior marcatore di sempre della Seleção.

Neymar ha raggiunto lo storico traguardo dopo appena 87 gare disputate con la sua Nazionale. Ciò significa, che ha segnato 0.64 goal di media a partita. Uno score quasi identico a quello della leggenda che lo precede: Luis Nazario de Lima, per tutti Ronaldo, col Brasile ha segnato 62 goal in 98 match (0.63 a partita). Una sola rete li separa e tutto lascia presagire che possa arrivare già in questa edizione dei Mondiali.

A precedere entrambi, però, rimane il leader incontrastato della classifica all-time: Pelé, autore di 77 reti in 92 gare (0.84 di media a partita). O Ney, ancora 26enne, ha dalla sua la possibilità di giocare molte partite con la Seleção. Con una lunga carriera davanti a sé, Neymar ha tutte le carte in regola per finire da primatista assoluto.

Intanto, godetevi questo video con le prime 50 reti della stella brasiliana. Troverete diversi goal degni delle leggende che lo precedono in classifica marcatori (e che sono destinate a fare spazio al sorpasso dell'astro carioca).





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lunedì 18 giugno 2018

Frosinone: neopromossa o neoretrocessa?


Battendo il Palermo per 2-0, il Frosinone si è guadagnato la promozione in Serie A. Assieme a Parma ed Empoli, i ciociari inizieranno la stagione 2018-19 con lo status di neopromossa. Cinicamente, però, ci sarebbe un altro modo di definire la squadra allenata da Moreno Longo, ovvero "neoretrocessa". Sì, perché la compagine che conquista un posto nella massima serie passando per i playoff, generalmente, retrocede dopo appena una stagione in A.

Lo evidenzia la tabella sottostante, relativa al rendimento in Serie A delle squadre neopromosse negli ultimi 10 anni:

- in rosso appaiono le squadre che sono tornate subito in B;
- in arancione quelle che hanno superato la stagione da matricola ma sono retrocesse l'anno successivo;
- in giallo quelle che hanno lasciato la massima serie allo scadere del triennio in A.


Il nome delle squadre, suddisive in base alla posizione con cui hanno ottenuto la promozione, è invece di colore nero se hanno scongiurato l'"effetto ascensore".




Il campione decennale permette di fare alcune constatazioni. Per la prima basta consultare le righe della tabella, anno per anno, e notare la costante presenza di nomi colorati. Nelle ultime 10 stagioni di Serie A, infatti, almeno una delle tre neopromosse ha sempre fatto ritorno nella serie cadetta. Un dato rilevante, considerando che - in quest'arco temporale - quello italiano è l'unico dei principali campionati europei in cui non si sono mai salvate tutte le neopromosse: in Francia è successo una volta, in Inghilterra due, in Spagna quattro e in Germania cinque.

Analizzando più nel dettaglio il campione riportato dalla tabella, risalta il rosso dominante della colonna relativa ai playoff. Come accennato in precedenza, le compagini dell'ultima colonna faticano molto a difendere il diritto di militare nella massima serie: negli ultimi 10 anni in ben 8 casi la squadra uscente dai playoff è retrocessa. Un altro dato preoccupante, a sostegno di chi ritiene che il numero delle neopromosse alla Serie A andrebbe ridotto, magari parallelamente a quello delle partecianti al campionato.

Ma la tabella, in realtà, suggerisce che il discorso relativo al passaggio da "neopromossa" a "neoretrocessa" non riguarda solo chi strappa il biglietto per la Serie A grazie alla post-season. Infatti, anche 12 dei 20 nomi presenti nelle colonne di prime e seconde della classe sono colorati. Il totale, relativo alle ultime 30 squadre presentatesi in A da neopromosse recita: 12 retrocesse al primo anno, 5 al secondo e 3 al terzo. Per cui, 20 delle 30 squadre sono state coinvolte: se almeno una torna subito in Serie B, di media, ce n'è un'altra che la emula - al massimo - nell'arco di tre stagioni. Generalmente, quindi, in un triennio si esaurisce l'esperienza di due terzi di ogni trio.

Lo conferma anche il grafico interattivo sottostante, che raccoglie i piazzamenti in Serie A, a partire da quando hanno lasciato la B, di tutte le neopromosse degli ultimi 10 anni. La prima schermata, accorpando il rendimento di 30 squadre, risulta di difficile lettura, ma scorrendo le annate dalla parte superiore del grafico è possibile consultare i vari posizionamenti e cogliere qualche spunto interessante.



L'analisi delle posizioni ottenute dalle neopromosse italiane evidenzia le enormi difficoltà di quest'ultime e marca la distanza con i principali campionati europei. Ad esempio, la Serie A è il campionato con più squadre che hanno ottenuto due promozioni negli ultimi 10 anni: ben 6 bis (record ex aequo con la Premier League, uno in più della Ligue1, due in più di Bundes e Liga). Ciò significa che, dopo il più o meno immediato ritorni in B, l'effetto ascensore le ha riportate in A in poco tempo. Ma in 5 casi neppure al secondo tentativo queste squadre sono riuscite a confermare la propria partecipazione alla massima serie.

E se è risultato così difficile rimanere in Serie A, lo è stato maggiormente affermarsi a un livello più alto. Lo confermano i dati relativi alle squadre che hanno chiuso nella top 10 l’anno da matricola. In Italia, infatti, in appena due delle ultime dieci stagioni le neopromosse hanno varcato il confine della parte destra della classifica (il Bari e il Parma nel 2009-10, l’Hellas Verona nel 2013-14). Anche in questo caso si tratta del dato più basso tra le principali leghe, in cui negli ultimi anni ci sono state neopromosse che si sono qualificate per l’Europa League o addirittura per la Champions.

A questo punto l’analisi interna lascia più ombre che luci e il benchmarking europeo acuisce l’oscurità. Risulta, pertanto, necessario provare a interpretare queste constatazioni statistiche. Una prima deduzione, la più semplice, è che tra la A e la B ci sia un gap piuttosto ampio che le neopromosse patiscono particolarmente. Tale divario tecnico, difficile da colmare, probabilmente è legato anche alle differenze relative agli introiti tra le due categorie. Chi si affaccia alla Serie A, lo fa partendo da una posizione di subalternità rispetto alle società già consolidate nella massima competizione.  


Soprattutto dal punto di vista economico, perché i risultati di bilancio risentono dei risultati sportivi. Così, la rosa che conquista la promozione (che già di per sé spesso è insufficiente) non di rado si impoverisce perché squadre con potere d’acquisto superiore si rinforzano prendendo i migliori talenti delle neopromosse. E a volte l’organico viene ridimensionato anche senza cessioni, perdendo i giocatori in prestito che vengono richiamati alla base. Non a caso, il valore di mercato minimo tra le 20 squadre della massima serie A è generalmente di una società proveniente dalla Serie B


La disparità di introiti tra le due categorie fa sì che alle neopromosse spesso non resti che vendere i calciatori valorizzati, giovarsi dei più lauti diritti tv della A e tornare in Serie B. In questo viaggio di ritorno, però, subentra il bonus del paracadute finanziario. Si tratta di una somma complessiva, che può arrivare a 75 milioni di euro, da spartire tra le retrocesse in base agli anni di permanenza nella massima serie. Un meccanismo che, in teoria, permetterebbe di ammortizzare i minori ricavi garantiti dalla B e favorire il ritorno immediato in A. Quest’espediente, però, a voler pensar male pare uno dei motivi per cui le neopromosse non fanno grandi sforzi per provare ad affermarsi in Serie A. 


I risultati precedentemente descritti suggeriscono che per molte squadre la promozione sia un traguardo da cui monetizzare subito, accettando anche di retrocedere per poi riprovarci dopo un anno, magari rinnovando il gruppo. Per le piccole società il salto di categoria è problematico perché per allestire una rosa competitiva occorre aumentare il monte ingaggi complessivo e fare acquisti all’altezza. Non tutte sono in grado di farlo. Infatti, le poche squadre che negli ultimi anni sono riuscite a consolidare il proprio progetto dopo la promozione in A sono il Chievo di Campedelli, l’Atalanta di Percassi e il Sassuolo di Squinzi. Ovvero proprietà economicamente forti, capaci di rinforzare la rosa e investire le cifre che richiede la massima serie. Per queste società, la promozione ha segnato una tappa importante di un processo di crescita ambizioso. Per molte altre, soprattutto negli ultimi anni, si è trattato invece solo di un’esperienza fugace (per la gioia di Claudio Lotito).


L’ultima constatazione sembrerebbe fornire un assist a coloro che sostengono l’avvento di un calcio con sbarramento all’americana, in cui può partecipare ai tornei professionistici solo chi possiede coperture, finanziarie e di pubblico, oltre che stadio di proprietà e altri asset. Se così fosse, avrebbero accesso alla Serie A solo una parte delle squadre che sudano in B per guadagnarsela. Probabilmente non è la soluzione migliore, di certo non la più meritocratica, per quanto coerente con le difficoltà che il salto di categoria impone. Senza dubbio, però, l’applicazione di regole più stringenti riguardo al piano economico e alla disponibilità di strutture adeguate permetterebbe di migliorare il livello della Serie A. 


Così come, probabilmente, con due categorie da 18 squadre e, quindi, meno retrocessioni e promozioni (o spareggio tra terz’ultima di A e terza di B, come avviene in Germania) si potrebbe vedere una Serie A maggiormente equilibrata. Accogliere in A squadre “nate morte” o già agonizzanti significa, infatti, allargare la forbice tra testa e coda della classifica e, quindi, abbassare il livello della competitività. In tal senso, andrebbe ripensata anche la ripartizione dei diritti tv e degli introiti in generale. Pena l’appiattimento del valore, sportivo e non, del nostro campionato e del movimento calcistico italiano.

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sabato 9 giugno 2018

Co-MVP


Per il secondo anno consecutivo, Kevin Durant è stato eletto MVP delle NBA Finals. Una doppiettina da nulla. Infatti prima di lui il back-to-back era riuscito solo a Michael Jordan (tris dal '91 al '93 e dal '96 al '98), Hakeem Olajuwon ('94 e '95),  Shaquille O'Neal (tris dal 2000 al 2002), Kobe Bryant (2009 e 2010), LeBron James (2012 e 2013). Come dire, "benvenuto nell'Olimpo, Kevin".

Un bis meritato: nella serie contro i Cavs, Durant è stato un martello costante sulla difesa di 'Bron e soci. Un bis che, però, di sicuro non avrà fatto felice Steph Curry. Il numero 30 dei Warriors, infatti, non ha mai vinto il premio intitolato a Bill Russell e quest'anno lo avrebbe senz'altro meritato. Tra le medie tenute da Durant e le sue non c'è stata, di fatto, molta differenza.




Curry ha disputato le migliori Finals della sua carriera, realizzando oltre 5 triple a partita nelle 4 gare in cui Golden State ha schiacciato i Cavs. Il totale dei suoi canestri da 3 nei Playoff NBA è così arrivato a 378: appena 7 in meno di Ray Allen, primatista all-time, che ha però disputato quasi il doppio delle partite (171 a 90). All'ex, tra gli altri, di Celtics e Heat Steph ha strappato già due record nel corso di queste Finals: le 9 triple messe a segno in Gara 2 l'hanno reso il miglior realizzatore da 3 punti in una singola gara e, contemporaneamente, il giocatore più prolifico di sempre da dietro l'arco in una serie finale.


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Record impressionanti. Del resto, nonostante una prova di basso livello in Gara 3 (11 punti, con il 10% da 3, il 18% dal campo e 0 di +/-), nelle altre partite è sempre stato Curry il capocannoniere di GSW: 29 punti in G1, 33 in G2 e 37 in G4. Nelle prime due sfide, inoltre, ha anche realizzato più assist di Durant. Ma non è bastato. In ogni caso, grazie al contributo dei suoi due Co-MVP, Golden State ha surclassato gli avversari nel corso dei playoff, mettendo complessivamente fra sé e i rivali un totale di 210 punti. Si tratta del terzo differenziale di ogni epoca e il primo è stato stabilito sempre da loro l'anno scorso: 230.

Un ruolino di marcia impressionante, che acquisisce connotati incredibili se si tengono in considerazione anche i record registrati nella regular season da questa squadra. Dal 2015 a ora Golden State ha vinto 207 delle 246 partite disputate, ovvero l'84%. Nelle ultime tre stagioni, il record complessivo dei Warriors tra regular e post-season è di 328 gare vinte e appena 83 perse: un netto 79.8% di vittorie che supera anche il 75.8% registrato dai Chicago Bulls di Michael Jordan nel three-peet chiuso tra il 1995 e il 1998.

Dati che certificano l'entrata di questa dinasty nella storia della NBA. Qui , se volete, ne trovate altri. Intanto, complimenti anche a Steve Kerr, al suo ottavo titolo NBA: dopo i cinque da giocatore ne sono arrivati tre da allenatore.

C'è poco da dire: stiamo assistendo alla Storia del Gioco.

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giovedì 7 giugno 2018

Bomber mondiali



Esattamente tra una settimana inizierà Russia 2014, edizione numero 21 del Campionato Mondiale di Calcio. Un torneo che promette bene, visti i talenti che scenderanno in campo. A confermare questa aspettativa c'è un dato molto interessante: ben 10 delle 32 squadre che prenderanno parte al torneo hanno tra i convocati il miglior cannoniere della loro storia.



Tra i marcatori all-time spiccano, manco a dirlo, i nomi grossi di Re Cristiano I da Madeira e quello del suo socio nell'abbattimento di ogni record possibile, Leo Messi. Assieme a loro, altri 8 temibili attaccanti, più o meno noti. Ma chi è il membro della cricca con la miglior media goal a partita? Questo è l'ordine:

1) 0.56 Robert Lewandowski (52 goal in 93 gare)
2) 0.54 Cristiano Ronaldo (81 goal in 149 gare)
3) 0.52 Luis Suarez (50 goal in 97 gare)4) 0.51 Leo Messi (64 goal in 124 gare)
5) 0.49 Romelu Lukaku (33 goal in 67 gare)
6)
0.49 Javier "Chicharito" Hernandez (49 goal in 100 gare)
7)
0.48 Tim Cahill (50 in 105 gare)
8
) 0.41 Luis Tejada (43 goal in 105 gare)
9) 0.40 Radamel Falcao (29 goal in 71 gare)
10) 0.38 Paolo Guerrero (33 goal in 87 gare)

Ahinoi, l'Italia in Russia non ci sarà. Non ci resta che goderci le gesta di questi signori che, a suon di goal, hanno conquistato un posto nella storia delle rispettive nazionali. Tutto sommato poteva andarci peggio.
Il discorso sui presenti in Russia va, invece, messo da parte se ci si vuole soffermare sui migliori marcatori della competizione. E noi vogliamo farlo.

Il Re della classifica marcatori dei Mondiali è Miroslav Klose. Il tedesco nella scorsa edizione è riuscito a scavalcare Ronaldo, segnando il secondo dei 7 goal con cui la sua Germania ha demolito il Brasile nella semifinale del "Mineirazo". Appena due delle firme delle reti della Germania vittoriosa furono sue, ma il totale dice 16. Ovvero il massimo registrato fino ad ora.Nonostante ne risulti un vincitore, nel '94 in USA Ronaldo non segnò neppure una rete, mentre nelle altre edizioni a cui ha preso parteO Fenomeno" ha sempre lasciato il segno. A volte lo ha scolpito nella roccia. Ad esempio nel 2002, quando da capocannoniere trascinò i verdeoro al loro quinto trionfo, cancellando la delusione patita 4 anni prima e mettendo la firma sul suo secondo Pallone d'Oro.

Klose e Ronaldo, a cavallo tra il 1998 e il 2014, hanno replicato quanto fatto vedere tra il 1958 e il 1974 da due loro iconici connazionali: il capocannoniere (ma solo medaglia di bronzo) di Mexico 70 Gerd Muller e
il tre volte iridato Pelé, rispettivamente autori di 14 e 12 marcature.

Klose, Ronaldo, Muller e
Pelé hanno una cosa in comune: la vittoria di almeno un Mondiale. Infatti, l'unico giocatore della top 5 dei bomber a non aver mai alzato la coppa è il francese Just Fontaine. Il tre volte Campione di Francia col Reims (1958, 1960, 1962) e due volte capocannoniere della Ligue 1 (34 goal nel 1957-58 e 28 nel 1959-60), è il detentore del record di marcature in una singola edizione, avendo realizzato la bellezza di 13 reti in appena 6 gare nel 1958. Quello, però, fu l'unico Mondiale che giocò (arrivando terzo con la Francia), poiché fu costretto dai continui infortuni a ritirarsi nel 1962, a soli 29 anni.

Tra i presenti a Russia 2018 ci sarà, però, Thomas Muller. Il tedesco è a quota 10 reti nei Mondiali, avendo segnato 5 goal sia nel 2010 che nel 2014. Considerando che avrà questo e, forse, un altro Mondiale a disposizione, la scalata della classifica marcatori all-time potrebbe essere alla sua portata. Stiamo a vedere, tanto manca poco. Per fortuna!

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domenica 20 maggio 2018

MVPiccolo, grande Luka


Signore e signori, il premio di  Most Valuable Player delle Final Four dell'Eurolega ha un nuovo youngest winner: Luka Doncic, classe 1999, è infatti il più giovane MVP della massima competizione europea per club, avendo battuto il record di Milos Teodosic, premiato nel 2010 a 23 anni. Meritatamente, viste le cifre registrate dallo sloveno nella Finale vinta dal suo Real Madrid contro il Fenerbache di Melli e Datome.



Prima della sfida contro il Fener, Luka from Lubiana aveva dichiarato: "Sarebbe molto bello salutare Madrid dopo aver vinto la decima". Detto, fatto: 85-80 per i blancos e missione compiuta. Per lui, una prova da veterano in una squadra piena di veterani veri. Pochi fronzoli e l'ennesima epifania di un talento purissimo: secondo scorer del Real, dietro Causeur (17 punti), primo per assist e tiri presi (3/8 dal campo, 8/10 ai liberi). Questo è il video-resoconto della partita di "Wonder Boy":




In una parola: leader. A 19 anni, da predestinato. Non può essere altro, uno che chiude così la post-season, dopo essere stato eletto MVP di quella regolare. Dopo essere stato inserito nel Primo Quintetto della competizione, assieme a gente del calibro di Nando De Colo, Jan Vesely, Nick Calathes e Tornike Shengelia. Dopo aver vinto, in back-to-back, il second Rising Star del torneo. Dopo essere passato in appena 3 anni dall'MVP del Basketball Next Generation Tournament, l'Eurolega dei giovani, all'equivalente trofeo dei "grandi".
Non può che essere un predestinato, Luka, che in estate ha contribuito alla storica vittoria da parte della nazionale slovena del titolo europeo e poi ha ottenuto il trionfo continentale anche con il suo club. Un trofeo che conferma la dimensione continentale del suo imbarazzante talento. Uno spessore internazionale che travalica i confini spagnoli, al cui interno ha comunque già dimostrato il suo valore. Il suo palmares, infatti, include già anche 2 Campionati spagnoli e 2 Coppe del Re. Pazzesco.

Un predestinato, dunque, con la NBA nel suo futuro. Probabilmente già in quello imminente, come si confà a un prospetto del genere. Molti Mock Draft, infatti, lo inseriscono nella top 3 del prossimo giro di chiamate. Alcuni addirittura lo indicano come favorito ad essere la first pick, poiché dal prossimo anno i Phoenix Suns, squadra detentrice della prima scelta, saranno allenati da Igor Kokoskov. Il serbo, coach di Luka nella nazionale slovena, farebbe carte false per averlo in Arizona. Tuttavia, appare difficile che i Suns si privino di DeAndre Ayton, centrone dinamico e potente, idolo di casa.

Ad ogni modo, qualunque squadra sceglierà Luka, farà un grosso colpo. Uno di quelli destinati a stupire gli scettici che al di là dell'Oceano non mancano mai di dubitare dei talenti provenienti dall'Europa. Cestisticamente maturo, duttile e già vincente, Luka Doncic non ha nessuna intenzione di smettere di crescere.

P.s. Oltre al premio di MVP, Most Valuable Player, il ragazzo meriterebbe quello di MVM, Most Valuable Mom. Anche la signora Mirjam Poterbin, ex modella e danzatrice, merita parecchi applausi.

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sabato 19 maggio 2018

#UN1CO

Illustrazione di Massimiliano Aurelio
Dopo 656 partite, di cui il 47.4% chiuse senza subire reti, Gigi Buffon ha salutato la Juventus. Basterebbe questa breve frase, corredata da due dati spiccioli quanto rilevanti, a sconvolgere l'imperturbabile quiete di Zenone di Cizio. Sì, perché non stiamo parlando di un congedo qualunque. Stiamo parlando dell'addio/arrivederci di un Capitano alla maglia che per ben 17 stagioni ha vestito con orgoglio, dedidizione e, soprattutto, amore.

L'uomo Gigi ha indossato i colori bianconeri per la prima volta quando ancora era un ragazzotto esuberante. Li ha onorati, facendoli pelle sua, fino ad oggi che è un 40enne padre di famiglia con la barba brizzolata. Con loro addosso ha vinto:

- 9 volte (+2) lo scudetto
- 4 volte la Coppa Italia
- 6 volte la Supercoppa Italiana
last but not least, una volta il Campionato di Serie B.

E pazienza se la Champions continua a sfuggire. Il suo palmares rimane elitario, impreziosito com'è da una lista di record personali che, oltre a dargli la patente di dignità bianconera, gli garantiscono un posto nell'Antologia del Calcio.

Gigi Buffon è, infatti, il giocatore della Juventus con:

- Più minuti giocati in Serie A, già dal marzo 2017
- Più minuti giocati in tutte le competizioni, già da ottobre 2015
- Più presenze in Champions League: 115 (che, sommate alle 10 col Parma, fanno di lui il secondo giocatore italiano nella storia della competizione, dietro Maldini a 139)
- Più presenze nella Supercoppa Italiana: 8
- Più campionati di Seria vinti: 9
- Più trofei vinti in assoluto: 19 (esclusi i due scudetti dell'era Capello)
- Più partite consecutive senza subire goal: 10 (record della Serie A)
- Più minuti consecutivi senza subire goal: 974 (altro record della Serie A)

Insomma, oggi si chiude un sodalizio letteralmente storico. Un legame che ha generato una carriera incredibile, lunga e costellata di successi. Un viaggio che ha arricchito gli annali, scrivendo pagine destinate a rimanere nella memoria di tutti gli appassionati di calcio, e non solo dei tifosi juventini.

Quest'ultimi, però, non dimenticheranno facilmente la storia d'amore che ha visto quel giovane di belle speranze sposare la causa bianconera e donarle tutto il suo infinito talento fino all'ingresso negli 'anta. Buffon per gli juventini nati negli '80, nei '90 e nei '00 è stato davvero speciale.

Probabilmente non è ancora giunto il momento del difinitivo addio al calcio giocato. Quasi certamente, però, il Calcio Italiano saluta oggi uno dei più fulgidi simboli della sua storia recente. L'enfant prodige diventato veterano intramontabile. IL portiere, per antonomasia: il numero 1 dei numeri 1.

Grazie, Gigi. Grazie davvero.


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giovedì 17 maggio 2018

I grandi numeri del Piccolo Diavolo

Quella di ieri contro il Marsiglia potrebbe essere stata la penultima partita di Antoine Griezmann con la maglia dell'Atletico Madrid. La maglia che l'ha reso grande. La maglia che "le Petit Diable" ha voluto onorare in una serata molto importante: la Finale di Europa League 2018. Dopo le due sconfitte patite in Champions nel 2014 e nel 2016 per mano dei cugini blancos, i tifosi dei colchoneros aspettavano infatti un trionfo europeo.

Antoine, contrariamente a quanto avvenuto nel 2016, quando sbagliò un calcio di rigore, non li ha delusi. Ci teneva, vista l'aria d'addio che tira. E ci ha messo poco ieri a fare capire ai sostenitori dell'Atletico che aveva intenzione di azzannare la partita e regalare loro una gioia europea, dopo quelle vissute nel 2010 e nel 2012

Al primo tocco nell'area avversaria è successo questo:


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Al secondo tocco nell'area avversaria, questo:
 


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Così, dopo 49 minuti e appena due palloni giocati nella "zona calda" marsigliese, Griezmann aveva già segnato una doppietta. Una media da gran realizzatore, da killer d'area di rigore quale teoricamente non dovrebbe essere uno con un fisichino da 175 centimetri e 67 kilogrammi, ma quale è diventato negli anni.

Grizou ha ucciso la Finale di Europa League, vincendo finalmente un trofeo continentale. Finalmente perché dal 2014 ad oggi ne aveva già persi tre all'ultimo atto, tra club e nazionale. Una mezza maledizione superata nella stagione della maturità. A 27 anni compiuti, il promesso sposo del Barça, quest'anno ha avuto uno score davvero invidiabile:

- 19 goal e 9 assist in 31 match di Liga
- 2 goal e 2 assist in 6 partite di Champions
- 6 goal e 4 assist in 8 gare di Europa League
- 2 goal in 3 incontri di Coppa del Re


Il totale recita: 29 goal e 15 assist in 48 presenze stagionali. Una contribuzione incredibile di quasi una rete a partita di media e, soprattutto, pari al 46.8% delle 94 reti realizzate da tutto l'Atletico. Numeri perfino migliori di quelli già notevoli delle annate precedenti in maglia rojiblanca.


Al momento, la sua esperienza a Madrid conta 112 goal e 37 assist in 208 partite. Un bottino che, rapportato alle 384 reti messe a segno dalla squadra di Simeone nell'ultimo quadriennio, dà a Griezmann una contribuzione realizzativa del 29.1%, riguardo ai goal, che arriva al 38.8% se si aggiungono gli assist. Praticamente, su 10 marcature realizzate dall'Atletico dalla stagione 2014/15 a ora, circa 3 portano la firma di Griezmann e una quarta è stata da lui assistita.

Un rendimento che giustifica i 100 milioni che il Barcellona è pronto a sborsare per la sua clausola rescissoria, che da luglio 2018 scenderà dai 200 attuali a tale cifra. Un affare che in Spagna considerano già fatto (anche se lui lo ha negato) e che ha ricevuto persino l'approvazione di Suarez e la benedizione di Simeone.


E 100 milioni per un giocatore del genere sono un prezzo ottimo, considerando il costo dei cartellini nelle ultime finestre di mercato. Si tratta di un vero affare se si pensa che, aggiungendo Griezmann a Messi e Suarez, i catalani avrebbero in rosa 3 dei migliori 5 bomber e 3 dei migliori 5 assist-man della Liga 2017/18. Un trio di realizzatori altruisti. Una sorta di rivisitazione del terzetto Athos-Porthos-Aramis. I tre moschettieri del goal, pronti a partire all'assalto delle porte rivali al grido di "Uno per tutti, tutti per uno".

E occhio al Mondiale di Russia: all'Europeo 2016 Griezmann vinse il titolo di capocannoniere (6 reti) e venne eletto Miglior Giocatore del torneo, ma si arrese in finale al Portogallo di Ronaldo. Se quest'anno riuscisse a portare al trionfo i Blues, prenderebbe quota la sua candidatura per un premio individuale ben più importante: quel Pallone d'Oro che manca a un giocatore francese dal 1998, quando a vincerlo fu Zinedine Zidane. 

Stiamo a vedere se i grandi numeri de le Petit Diable sono destinati a crescere ancora.

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lunedì 7 maggio 2018

DC come

Chi legge questo blog (ma sul serio non avete di meglio da fare?) sa bene che al sottoscritto piacciono tanto i giochi di parole. E allora: DC Comics? No, DC Come!


DC come l'uomo del momento, Douglas Costa. Oppure come alcune cose che lo riguardano, tipo:

DC come Dribbling Clamorosi. Fino ad ora, nelle 39 presenze da lui collezionate tra Serie A e Champions League, Douglas Costa ha realizzato il 79.9% dei dribbling tentati. Per l'esattezza, ha saltato l'avversario in 139 delle 174 volte che ci ha provato. Il brasiliano è il giocatore che in Serie A ne realizza di più a partita (3.4) e la sua autorevolezza in materia è nota anche sul panorama internazionale. 

Infatti, in Champions, nonostante abbia "appena" l'ottava media per gara, è secondo solo a Neymar nel totale dei dribbling riusciti: 40 su 46 tentati, per uno strepitoso 87% di realizzazione. Il grafico a dispersione sottostante mostra come DC sia il giocatore più vicino al vertice in alto a destra, ovvero alla perfezione quanti-qualitativa in materia di dribbling.



Qui sotto, invece, un video contenente alcuni pregevoli esempi dell'incredibile abilità di sgusciare via di Douglas Costa.


 
DC come Deliziose Combinazioni. Con i due assist al bacio messi a segno contro il Bologna, Douglas è arrivato a quota 12 in campionato. La doppia cifra è di per sè un ottimo traguardo, ma acquista ancor più rilevanza se i servizi decisivi ai compagni arrivano ogni 142 minuti. Infatti, il brasiliano ha trascorso appena 1.704 minuti complessivi sui prati della Serie A, guadagnandosi una media davvero invidiabile. Solo James Rodriguez (1.537 minuti disputati in Bundes e 11 assist realizzati) ha un minutaggio inferiore tra coloro che sono arrivati in doppia cifra nei principali campionati europei.

Qui sotto un esempio di uno su cui puntare se la vostra squadra sta perdendo (di nuovo) uno scontro decisivo per lo Scudetto.


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DC come Deve Concludere. Se, oltre ad essere un imprendibile slalomista e un incredibile passatore, Douglas Costa calciasse di più verso le porte avversarie, diventerebbe davvero micidiale. Nelle 39 presenze citate, sono arrivate appena 39 conclusioni tra campionato e coppa (36 in Serie A e 6 in Champions). Una media easy: un tiro a partita. Un bottino misero per uno come lui, che coincide con un apporto realizzativo lacunoso. Sono, infatti, solo 4 le reti da lui messe a segno in campionato (a cui se ne aggiunge una in Coppa Italia), mentre è vuota la rispettiva casella europea. 

DC è senza dubbio uno dei giocatori più forti del campionato italiano.
Sgusciante, velocissimo e altruista, è un freak per la Serie A. Un esemplare raro. Raro e decisivo, perché, in questo finale di stagione in cui molti calciatori della Juve sono sembrati un po' stanchi, le sue giocate sono state spesso risolutive. Il brasiliano, che non a caso ha vinto 7 degli ultimi 8 campionati disputati, ha trascinato i bianconeri verso il settimo scudetto consecutivo. E i tifosi juventini già pensano che anche l'anno prossimo... Dovrebbe Continuare.

#DAM


venerdì 4 maggio 2018

Oblak Mirror


Sì, lo so: potrei aver esagerato. Lo so che Oblak e Black Mirror non hanno tutta questa continuità, però il titolo suonava bene. Coerente con la linea editoriale, creativo e stupido al punto giusto. Azzardato, certo, ma in fondo con "un po'" di fantasia il senso si capisce. No? No? Damn per citare il titolo dell'ultimo disco del primo rapper a vincere il Pulitzer per la letteratura.

Vabbè, comunque oggi il tema è Jan Oblak. Ovvero uno dei migliori portieri del mondo. Anche ieri lo sloveno ha strenuamente difeso i pali dell'Atletico Madrid, garantendo ai colchoneros l'accesso alla finale di Europa League, in programma mercoledì 16 maggio a Lyon. Una delle qualità principali che tutti riconoscono alla squadra di Simeone è la solidità difensiva. Ma se l'Atletico prende pochi goal e non capitola praticamente mai, gran parte del merito è proprio del portierone.

Godetevi i suoi miracoli, prima di snocciolare le stats.



Tra le squadre dei principali campionati europei, l'Atletico Madrid è quella che vanta più partite a reti inviolate: 32 clean sheet su 55 match disputati. Quasi tutti, ovviamente, portano la firma di Jan Oblak. Lo sloveno, allargando gli orizzonti alle due stagioni precedenti, nell'ultimo triennio ha mantenuto pulita la rete in ben 80 circostanze, almeno 20 in più di qualsiasi collega dei principali campionati europei.

Quest'anno le reti subite da Oblak sono state:

18 in 34 partite di Liga (miglior difesa delle top leagues);
4 in 6 gare di Champions;
1 in 5 match di Europa League.


Uno spechio (IN INGLESE MIRROR, CAPITO?) capace di riflettere le conclusioni degli avversari, respingendo al mittente i tentativi degli attaccanti.

Eletto miglior portiere della Liga e membro della squadra dell'anno della Champions League nel 2016 e nel 2017, Oblak ha regalato a suon di miracoli la quarta finale europea in 7 anni all'Atletico Madrid. 

Vedremo se dopo le due dolorosissime sconfitte contro i cugini del Real, questa volta gli uomini del Cholo, protetti dal loro incredibile portiere, riusciranno a trionfare. Intanto, c'è chi ha già riconosciuto le qualità ultraterrene di San Jan da Skofja Loka.



 #DAM

giovedì 3 maggio 2018

Oltre le più rosse aspettative (scusa, Jurgen)

Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa. Di fronte ai miei 25 lettori, mi assumo compleatamente la responsabilità dei miei peccati commessi. Non mi riferisco tanto alle eccessive imprecazioni per l'ennesimo tonfo del mio Huawei, quanto piuttosto all'aver dubitato del sommo Jurgen Klopp nello scorso mese di settembre. Alla luce della recentissima conquista del suo Liverpool del diritto di disputare il prossimo 26 maggio la finale di Champions League, mi sento in dovere di farlo.


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Capiamoci però: quando scrissi quel post, si erano giocate 11 gare stagionali e il dato più emblematico del primo spezzone dell'annata 2017-18 del Liverpool erano i 19 goal subiti da una difesa troppo ballerina. Nel mese di settembre i Reds avevano conquistato 6 punti in 6 partite di campionato. Un record non esattamente soddisfacente per l'allenatore tedesco - ribattezzato "Jurgen Flop" - che iniziava a patire aspre critiche dai tifosi. Oh, io le ho solo riportate. Ci avrò anche ricamato su, but don't shoot the messenger!


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Io me le prendo le mie responsabilità, ma fino a quel momento nemmeno le più rosse aspettative avrebbero ipotizzato un Liverpool finalista della massima competizione europea. Eppure, sette mesi dopo, quel Jurgen fu-Flop è oggi un Jurgen Top (siamo pari, amico). Pertanto, è giusto ammettere l'errore, chiedere virtualmente scusa e riconoscergli i suoi meriti. Che poi, in fondo, non sono solo suoi ma di un'intera squadra, protagonista di una stagione da favola. Un assunto valido in particolare per tre elementi della rosa. Chi? Ve li indica lui.




La risposta alla precedente domanda era, sì, facile da immaginare. Il tridente offensivo del Liverpool sta vivendo una stagione veramente incredibile. Esaltati dal gioco spumeggiante di Klopp, Salah (10 goal), Firmino (idem) e Manè (9) sono diventati il trio più prolifico di sempre in una singola edizione della Champions League. Levando il primato a Ronaldo-Bale-Benzema, che nell'annata 2013-14 si fermarono a quota 28, i tre sono entrati nella storia della competizione e nell'elité del calcio europeo.


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Una macchina realizzativa che marcia compatta. Infatti, the terryfing trio è andato a segno nella stessa gara in ben otto occasioni quest'anno in Champions. Un altro record, ovviamente.  Non è un caso se con 40 reti, il Liverpool è la squadra che ha realizzato più goal in coppa. E per farlo ha avuto bisogno di appena 189 tiri. Un ottimo rapporto reti/conclusioni (il Real ne ha segnati 10 in meno, con 19 tiri in più). Efficacia e precisione, per la gioia della Kop.


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Dal punto di vista offensivo, il Liverpool ha mostrato individualità di livello altissimo. Le 10 reti di Salah e Firmino rappresentano, infatti, il massimo realizzato da un giocatore dei Reds in una singola stagione europea. L'egiziano, poi, è a quota 43 reti in totale quest'anno: altre 4 marcature nelle restanti gare e potrebbe eguagliare il record di 47 centri messi a segno da Ian Rush nella stagione 1983-84. Con la sua elettricità, Salah ha sorpreso tutti e deliziato i palati di tutti gli appassionati di calcio.


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Firmino, invece, ha raggiunto la doppia cifra in appena 11 gare, altro record. L'attaccante, inoltre, è il calciatore del Liverpool che ha corso più chilometri in questa Champions League (119.2), nonché il secondo giocatore in assoluto, dietro Kolarov (128.8). Inoltre, è anche medaglia d'argento in assist: con 8 passaggi decisivi, cede il primato al compagno di squadra Milner (9). Il falso nueve brasiliano è un vero uomo-squadra, presente ovunque e disposto a servire chiunque.



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Insomma, i Reds hanno sbancato il casinò. Macinando record e mietendo vittime, la squadra della città dei Beatles ha raggiunto un traguardo su cui a inizio stagione nessuno avrebbe scommesso. Adesso rimane solo un ostacolo a impedire di mettere la ciliegina sopra la torta: il  Real Madrid di Zinedine Zidane, bi-campione in carica e per la quarta volta finalista in un lustro. Una robina non da poco.


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I blancos hanno vinto le ultime sei finali disputate (contro la Juventus nel 1998, contro il Valencia nel 2000, contro il Bayer Leverkusen nel 2002, contro l'Atletico Madrid nel 2014 e nel 2016, di nuovo contro la Juve nel 2017), ma hanno subito l'ultima sconfitta proprio contro il Liverpool nel 1981 al Parco dei Principi: 1-0 con goal del terzino Allan Kennedy.

Vedremo se a trionfare saranno l'esperienza, l'abitudine e la consapevolezza dei bianchi di Madrid oppure l'entusiasmo, la fame e la determinazione dei rossi di Liverpol.

Il 26 maggio si avvicina, preparate i pop corn!

#DAM

mercoledì 2 maggio 2018

Guess who's back?


Nuntio vobis gaudium magnum habemus
finalista di Champions League e, toh che novità, è il Real Madrid di Zinedine Zidane. Dopo la vittoria per 2-1 ottenuta all'Allianz Arena, i blancos hanno pareggiato 2-2 in casa, guadagnandosi la terza finale consecutiva, la quarta negli ultimi 5 anni.


Tuttavia, basta dare un'occhiata ai dati della doppia sfida per capire che i bavaresi non sono stati affatto inferiori agli spagnoli. Anzi. Ad esempio, per quanto riguarda i tiri, il Bayern ha superato il Real per 33 a 16. Limitando il conteggio ai tiri in porta, il vantaggio dei tedeschi è di 13 a 7.

E le conclusioni non sono l'unica categoria a favore dei tedeschi. Infatti, molti altri valori relativi alla mole di gioco pendono a loro favore. Ad esempio, il Real Madrid ha battuto nei due match un totale di 9 calci d'angolo, mentre i corner del Bayern sono stati ben 21. Un dato che suggerisce come il pallino del gioco sia stato più nelle mani dei bavaresi che in quelle dei madrileni.

A confermarlo arrivano altre due importanti voci statistiche: il numero totale dei passaggi realizzati e la percentuale di possesso palla. Riguardo ai tocchi, il Bayern ha surclassato il Real: 1.065 a 685; 380 tocchi in più, spalmati sul 57.5% di possesso palla tenuto dagli uomini allenati da Jupp Heynckes.

Quest'ultimi hanno dominato la doppia sfida anche a proposito dei chilometri percorsi. Infatti, nel complesso i giocatori della squadra di Monaco hanno corso 228.8 km, contro i 221.4 del Real Madrid.

In pratica, un dominio tattico, tecnico e fisico. Ma, ça va sans dire, non realizzativo. Il Bayern, di fatto, ha sciupato la superiorità tracciata fin'ora riuscendo a tramutare in goal solo una minima parte delle occasioni create. Decisamente meno di quanto statisticamente avrebbe dovuto fare.
 

Tutto ciò ha un prezzo alto da pagare: un'eliminazione molto cocente. Viceversa, il Real vola a Kiev, dove sul prato dello Stadio Olimpico cercherà di rimettere in scena quanto già mostrato a Lisbona, Milano e Cardiff. Quest'anno la squadra di Madrid ha buttato fuori PSG, Juve e Bayern, ovvero tre delle favorite per la vittoria finale.

Gli uomini di Zinedine Zidane si presentano, di diritto, come i favoriti. L'allenatore francese, inoltre, in terra ucraina diventerà il terzo allenatore della storia (dopo Fabio Capello e Marcello Lippi) a disputare tre finali consecutive. Lui che in carriera non è ancora mai stato eliminato in Champions.

A prescindere dalle polemiche, siamo di fronte a una squadra epocale, destinata a rimanere nella storia. Vedremo se nell'ultimo atto della Champions League 2018 Sergio Ramos alzerà di nuovo il trofeo o se, invece, dalla semifinale di stasera tra Roma e Liverpool uscirà l'underdog capace di ribaltare i favori dei pronostici.

Chi vivrà, vedrà.

#DAM

lunedì 26 marzo 2018

Il top del top

Ieri il CIES Football Observatory, l'organo di ricerca della FIFA specializzato in analisi statistiche, ha pubblicato il suo Weekly Post n.220. L'argomento del nuovo rapporto è il rendimento dei giocatori dei 5 principali campionati europei nell'ultimo trimeste. In particolare, il CIES ha stilato la lista dei 10 migliori interpreti, ruolo per ruolo. Come spiegano le note metodologiche, sono stati presi in considerazione solo i giocatori che hanno disputato almeno 45 minuti in almeno 8 partite di campionato.

I calciatori individuati sono stati distinti in 7 categorie: portieri, difensori centrali, terzini, centrocampisti difensivi, centrocampisti box-to-box, ali e punte. La lista dei 70 selezionati offre alcuni interessanti spunti di riflessioni. Ma prima di iniziare l'analisi, è opportuno leggere i nomi dei giocatori scelti dal CIES.

I 10 migliori portieri:

I 10 migliori difensori centrali:

I 10 migliori terzini:


I 10 migliori centrocampisti difensivi:


I 10 migliori centrocampisti box-to-box:
Le 10 migliori ali:
Le 10 migliori punte:

Un primo livello di analisi della lista dei 70 top player riguarda il loro campionato di provenienza. Risulta, infatti, interessante soffermarsi su come si distribuisca la creme de la creme nelle varie leghe nazionali.

Che il campionato più ricco di talento sia la Premier League, tutto sommato, sorprende poco. In Inghilterra ci sono almeno 4/5 squadre che possono arrivare in fondo nelle due competizioni europee. Del resto, come già detto, i club inglesi generano e spendono cifre a cui la stragrande maggioranza delle squadre straniere non può neppure avvicinarsi. Ben 6 delle 10 squadre che hanno speso di più per allestire la propria rosa militano in Premier. Questa facoltosità permette di attirare, acquistare e stipendiare fior fior di campioni. Ecco allora spiegato perché ben 23 dei 70 membri dell'élite provengono dalla Premier League.

Se la prima posizione del podio risulta piuttosto coerente con le aspettative, stupisce l'inatteso primato della Serie A nei confronti de La Liga. La medaglia d'argento, infatti, non va al favorito campionato spagnolo ma al tanto vituperato "collega" italiano, che porta in classifica 20 giocatori, 3 in più de La Liga. Come vedremo tra poco, il campionato pagnolo paga alcune assenze illustri, mentre la Serie A si giova di inattesi exploit. Tuttavia, per quanto effimere e circostanziali possano essere queste valutazioni, tale piazzamento è una prova che il livello del campionato italiano quest'anno si è finalmente alzato.

Ricapitolando: 23 giocatori arrivano dalla Premier, 20 dalla Serie A e 17 da La Liga. Ciò significa che siamo già a quota 60 e, quindi, che l'apporto di Ligue 1 e BundesLiga si riduce ai restanti 10 posti. Una cifra decisamente bassa, se si tiene in conto la presenza nelle due leghe di due candidate alla vittoria della Champions League come Paris Saint-Germain e Bayern Monaco. Tuttavia, la loro stessa presenza deforma la natura delle rispettive competizioni, "nate morte" per manifesta superiorità. E se, in pieno "Effetto Neymar", il PSG è stata un'esplosione di calcio-champagne e ha infoltito il gruppo di rappresentanti, il Bayern Monaco ha potuto giocare "col freno a mano tirato", raggiungendo livelli insufficienti.

A questo punto, è utile scomporre i vari blocchi nazionali e guardare al club di provenienza dei top player per andare ancor più a fondo nell'analisi.


A scomposizione effettuata, gli spunti che si presentano sono numerosi. Andiamo per ordine di rappresentanza, partendo dalle squadre con più giocatori:

Il Barcellona fa paura. Escluso Umtiti (e non stiamo parlando di un giocatore mediocre), tutti i titolari della squadra catalana rientrano nella top 10 dei rispettivi ruoli. Un dato che rende l'idea della forma dei giocatori del Barça nel trimestre che, a scanso di blackout improbabili, li ha portati a maturare il vantaggio decisivo per la conquista del campionato. Vedremo se questo stato li accompagnerà nella fase decisiva della stagione che si sta avvicinando.

La Juventus ha fatto davvero un'impresa. Infatti, la seconda squadra più presente nell'élite europea è il Tottenham, recentemente eliminato dai bianconeri in Champions League. Tra gli 11 schierati da Pochettino a Wembley, solo il terzino destro Trippier e il centrale difensivo Vertonghen non rientrano negli eletti del CIES. Tra gli uomini mandati in campo da Max Allegri, invece, sono Chiellini, Benatia, Khedira e Higuain i giocatori eccellenti. Eppure, nonostante il 9 a 4 in favore degli inglesi, la Juve ha eliminato una delle squadre più temibili del panorama attuale.

Il Napoli è all'altezza dei migliori. Se la Juve è capace di tanto, onore a chi in Italia le sta dando battaglia. La squadra di Maurizio Sarri è, addirittura, la terza per giocatori selezionati. Sono ben 8, infatti, i napoletani da top 10, con due picchi assoluti: Mario Rui e Koulibaly, considerati il miglior terzino e il miglior difensore centrale d'Europa in questo inizio di 2018.

Il cattivo rendimento del Real Madrid è uno dei motivi, a cui si accennava in precedenza, per i quali La Liga è meno rappresentata della Serie A. I blancos hanno presto abbandonato la lotta per il campionato spagnolo e nella lista degli eccellenti non figurano nomi di primo conto come Sergio Ramos, Casemiro, Modric, Benzema, Isco. Tuttavia, il CIES si è soffermato sul campionato, mentre in Champions la squadra di Zidane sta continuando il lavoro iniziato nello scorso biennio, mietendo vittime.

Viceversa, se la Serie A ha più giocatori della Liga nelle varie top 10 è anche merito di Rino l'elettricista, che ha ridato luce al Milan. Dall'arrivo dell'allenatore calabrese il livello delle prestazioni dei rossoneri si è alzato al punto da avere ben 5 rappresentanti nell'élite del calcio europeo. Dopo il già citato meraviglioso Napoli, il Milan è l'italiana più presente. Durante la precedente gestione Montella, alcuni giocatori al massimo potevano ambire alla top 10 delle delusioni europee.

A sorpresa, anche l'Atalanta ha contribuito all'argento italiano: Ilicic regala ai bergamaschi la parità, in quanto a numero di giocatori selezionati, col Chelsea, campione d'Inghilterra (rappresentato da Hazard), e col Monaco, campione di Francia lo scorso anno (rappresentato da Sidibè).

Riprendendo il discorso assenze, è clamoroso che neppure un giocatore del Bayern Monaco sia stato incluso tra i top player. L'unico eletto della Bundes è, infatti, lo svizzero Burki, portiere del Borussia Dortmund. Avendo di fatto già vinto il campionato, i bavaresi hanno avuto un rendimento poco elitario. Probabilmente hanno rifiatato e risparmiato le energie per i match importanti di Champions League. Vedremo se Lewandowski, Robben, Vidal e compagnia scalderanno i motori e riprenderanno a giocare come sanno.

Le analisi relative a campionato e squadra di provenienza hanno, però, un orizzonte limitato riguardo alla stagione calcistica in corso. Si tratta, infatti, di disamine legate alle competizioni per club. Quest'anno, però, la stagione proseguirà anche in estate, dato che (come avrete notato sintonizzandovi su una rete Mediaset a qualunque ora del giorno), ci penserà la 21a edizione del Campionato Mondiale di calcio a tenerci compagnia sotto l'ombrellone. In ottica Russia 2018, può essere interessante andare a vedere di che nazionalità sono i 70 giocatori scelti dal CIES.




























La torta ha tanti gusti, per l'esattezza: 25. Tuttavia, la maggior parte del dolce se la spartiscono in cinque. Uscendo dalla metafora dolciaria, Spagna, Brasile, Argentina, Germania e Francia sono i Paesi da cui provengono 36 dei 70 top player. Su questi ci soffermeremo principalmente.

Dopo il tris Europeo-Mondiale-Europeo, la Spagna si è concessa una pausa, "toppando" le due successive competizioni. Dopo questo periodo di transizioni, gli spagnoli si presentano in Russia come una delle nazionali più forti. Del resto, Lopetegui può andare a pescare nelle migliori rose d'Europa. Tra i calciatori scelti dal CIES, ci sono 4 calciatori del Barcellona, 3 del Napoli, 1 del Real Madrid e 1 del Milan. A questi 9 giocatori si aggiungono esclusi eccellenti come Sergio Ramos, David Silva, Isco, Diego Costa, Morata. Insomma, cuidado.

O Brazil non è da meno: 9 membri del club sono carioca e, perfettamente in linea col titolo di questo post, stiamo parlando dell'élite del calcio mondiale. Si tratta, infatti, di giocatori provenienti da:  Barcellona, Real Madrid, Paris Saint-Germain, Manchester City e Roma. Se a questi si aggiungono Marquinhos, Casemiro e Gabriel Jesus, non inclusi nelle liste CIES, viene fuori che davanti ad Alisson, il Brasile in Russia potrebbe seriamente schierare una squadra composta solo da giocatori di Barça, Real, PSG e City. Fa paura solo a scriverlo.

L'Argentina, potrebbe sostenere Jacques de La Palice, ha un temibilissimo potenziale offensivo ma una lacunosa rappresentanza difensiva. Tra i 7 top player, infatti, ci sono due punte (Higuain e Aguero) e due ali (Messi e Di Maria), due centrocampisti, seppur difensivi (Biglia e Lo Celso), un solo difensore (Otamendi) e nessun portiere. Ora, che gli argentini possano arrivare in fondo segnando sempre un goal in più degli avversari, è possibile. Tuttavia, data la concorrenza di squadre ben più complete, al momento non pare probabile che tale strategia possa essere sufficiente.

La Germania campione in carica paga la già citata assenza del Bayern ma trova comunque 6 rappresentanti deluxe. Fortunatamente per i tedeschi, due di questi son portieri. L'infortunato Neuer potrebbe, infatti, trovare in Ter-Stegen e Karius degni sostituti. Il CIES li raccomanda, così come suggerisce che la mediana sia il reparto di forza della Germania. Oltre ai due portieri, ci sono infatti 4 centrocampisti nell'élite: Kroos, miglior centrocampista difensivo, Gundogan, Draxler e Khedira, rispettivamente 3o, 4o e 8o tra i box-to-box.

La Francia ha un avvenire d'oro. Escluso Lloris, i francesi selezionati dal CIES (Griezmann, Areola, Kimpembe e Sidibè) sono nati tutti negli anni '90. Considerando che a loro si aggiungono gli esclusi under-25 Pogba, Varane, Mbappe, Coman, Dembelé e Martial, stiamo parlando della nazionale destinata a dominare in futuro. Il Mondiale in Russia, dopo l'Europeo perso in finale in casa, potrebbe essere un'altra occasione per far crescere un gruppo dal sicuro avvenire.

Merita una menzione l'Inghilterra, se non altro perché ha lo stesso numero di rappresentanti della Francia e perché vale lo stesso discorso relativo al futuro. Gli inglesi scelti dal CIES sono, infatti, 5, di cui 3 giocatori del Tottenham (Kane, Alli, Dier), Walker, loro ex compagno, e Oxlade-Chamberlain. Tra questi, il più vecchio è il terzino del CIty, nato il 28 maggio 1990. Anche per la nazionale inglese questo sarà un Mondiale di transizione, ma l'ossatura della squadra del futuro è molto affidabile.

La mappa interattiva, basata sulla provenienza dei calciatori scelti dal CIES Football Osservatory, si presenta così!





sabato 24 marzo 2018

Rino l'elettricista

Per capire il titolo di questo post è necessario guardare la tabella sottostante e poi quella successiva. Si tratta di due visualizzazioni dei dati riguardanti le prestazioni dei calciatori del Milan durante le gestioni di Vincenzo Montella e Rino Gattuso.

Nelle tabelle è possibile leggere, giornata per giornata, il voto statistico assegnato ai giocatori del Milan dall'algoritmo Alvin 482. Si tratta del rating (simil-Whoscored) che La Gazzetta dello Sport ha sviluppato per dare agli adepti del Fantacalcio un voto alternativo rispetto a quello delle tradizionali redazioni. L'algoritmo, tenendo conto di tutti i dati raccolti da Opta durante le partite di Serie A, accorpa le statistiche in un unico punteggio. Un voto che va da 0 a 10, basato su calcoli scientifici dei dati prodotti dai giocatori in campo.


Questi numeri, resi graficamente in colori sfumati in base alla positività della prestazione, aiutano l'analisi statistica del (doppio) Milan visto nel corso della Serie A 2017-18. Partiamo dalla tabella relativa alle sciagurate 14 gare della gestione Montella:



Prendendo in considerazione le differenti colorazioni dei voti, a primo impatto balza all'occhio una certa intermittenza. Prima una colonna verde, poi gradatamente compare il rosso; poi di nuovo un po' di verde, e subito di nuovo il rosso; a un certo punto si riaccende il verde ma dopo poco riparte il rosso. E via così, con un'alternanza cromatica compatta, a colonne alterne, che risulta allarmante. L'incostanza dei colori, infatti, non è frutto di saliscendi di singoli giocatori, quanto piuttosto del rendimento dondolante dell'intera squadra.
 
Una visualizzazione di questo tipo rende evidente all'occhio quanto è già noto alla mente: i continui cambiamenti apportati da Montella allo scacchiere rossonero hanno generato nei giocatori solo una gran confusione, tattica e mentale. La poca definizione delle scelte e degli indirizzi dell'allenatore si è tradotta, così, nell'incertezza palesata dai giocatori sul campo. Quest'ultima, a sua volta, ha portato alle prestazioni deludenti che hanno generato il rosso dominante nella tabella.

L'allenatore campano, nei suoi mesi alla guida del Milan, ha utilizzato svariati moduli, ha spostato i giocatori da un ruolo all'altro, ha alternato sistemi e principi di gioco. In appena 14 giornate, Montella ha puntato forte sul 4-3-3, poi ha virato sul 3-5-2 e infine ha schierato la propria squadra con il 3-4-2-1, chiedendo a giocatori di trasformarlo fluidamente in un 4-4-2. Troppo.


Un tourbillon frenetico che, per di più, ha coinvolto tantissimi giocatori, dilatando in modo pericoloso le rotazioni. Basta dare un'altra occhiata alla tabella per accorgersi della lunghezza della lista dei calciatori impiegati: sono ben 19 i giocatori ad avere almeno cinque voti. Un dato preoccupante, soprattutto se si tengono in considerazione anche le caselle rimaste bianche, ovvero i non-voti. Molti giocatori sono stati, cioè, impiegati un paio di volte e poi dimenticati per un mese, prima di essere rischierati, magari in un modulo nuovo.
 
Un inno all'incostanza, in pratica. Una condizione che ha sfavorito il sorgere degli automatismi necessari a una squadra composta in larga parte da giocatori nuovi. Non a caso la colonna relativa alle medie tenute è ricca di rosso e scarsa di verde: dei 19 milanisti con almeno cinque voti, solo in sei raggiungono la piena sufficienza statistica. Troppo poco per una squadra che occupa la posizione n.13 nella classifica dei club che hanno speso di più per allestire la propria rosa (seconda italiana, dietro la Juve), che solo in estate ha investito 250 milioni (quarto club più spendaccione d'Europa) e che ha un monte ingaggi che sfora i 100 milioni.

The shape of Ringhio

Le prestazioni medie dei giocatori del Milan durante la gestione Montella sono state, quindi, molto deludenti. La squadra non ha mai mostrato solidità in difesa né efficacia in attacco. La potenziale versatilità della rosa si è arenata nell'irrisolta corsa alla ricerca di una precisa organizzazione. Insomma, Montella ha parecchie colpe. Così "l'Aeroplanino" non è decollato e la ragione sta proprio nell'intermittenza del suo Milan.

Poi, senza troppi proclami, è arrivato Rino da Corigliano, che umilmente ha vestito i panni dell'elettricista, ha riparato il difettoso impianto rossonero e ha dato stabilità alla luce generata dalla lampadina di Milanello. Vediamo come sono cambiati i dati dei giocatori del Milan dal suo arrivo sulla panchina rossonera.


Dati alla mano, la tabella dell'era gattusiana mostra due fasi ben distinte. La prima, che va dalla 15a alla 19a giornata, riguarda il periodo di smaltimento delle scorie della gestione Montella. Un periodo decisamente negativo: appena 4 punti in 5 partite. La seconda fase, iniziata dopo il periodo di adattamento, mostra un Milan nuovo, dal rendimento molto positivo. Gattuso ha ridato stabilità alla luce e sul semaforo milanista è scattato il verde.

Un verde densissimo, simbolo di rinascita. "Anno nuovo, vita nuova" è stato il detto che il Milan di Gattuso ha applicato alla perfezione: in questa seconda fase, coincisa con l'inizio del 2018, i rossoneri hanno lasciato per strada solo due punti a Udine. A partire dalla 20a giornata, infatti, sono arrivate otto vittorie e un pareggio, con una crescita costante nel gioco, oltre che nei risultati.

Rino l'elettricista ha dato una forma al caos lasciato da Montella, identificando il 4-3-3 come il modulo da cui ripartire. Ha, poi, scelto un nucleo di titolari e un numero limitato di panchinari, individuando l'impostazione tenico-tattica migliore per la rosa di cui dispone. Ruoli e compiti dei giocatori sono stati chiariti e i meccanismi, piano piano, hanno cominciato a girare. La rosa a disposizione di Gattuso ha un valore innegabile, ma il suo intervento è stato davvero provvidenziale.

Con fermezza e grinta, ma anche preparazione e idee, Gattuso ha trasformato il Milan. Ponendo fine alla fase di sperimentazioni, ha fatto sì che la sua squadra pendesse coraggio. Una volta partito il cambiamento, ha sviluppato ulteriormente il piano tattico, iniziando a fare sul serio. Infine, dopo aver generato entusiasmo e consapevolezza, ha condotto il Milan a risultati contrari alle sfavorevoli tradizioni degli ultimi anni.

Normalizzando la situazione precedente, Gattuso ha generato il verde dominante nella colonna relativa alla media tenuta dai giocatori del Milan. Il numero dei giocatori con almeno cinque presenze è sceso a 16, e le rotazioni ridotte e condensate hanno portato a valori mediamente più alti: 8 su 16 hanno almeno 6 nella pagella statistica e altri 3 hanno più di 5.9. Che rispetto alla gestione precedente, i voti di quasi tutti i rossoneri siano migliorati durante le 14 partite disputate con lui in panchina è un dato inequivocabile.

Effetto Rino

Tra i vari giocatori che si sono giovati della bontà dell'intervento di Rino l'elettricista, se ne segnalano quattro in particolare: Jack Bonaventura, Lucas Biglia, Leonardo Bonucci e Hakan Çalhanoğlu. I loro voti sono quelli che, confrontando le due tabelle, si distinguono come quelli maggiormente migliorati in questa fase di luce stabile.


Non è un caso che, una volta scelta un'impostazione tecnico-tattica, i giocatori che hanno tratto più benefici siano quelli chiamati ad alimentare maggiormente il gioco dei rossoneri. Si tratta dei due play della squadra, Bonucci e Biglia, e della catena di sinistra, composta da Bonaventura e Çalhanoğlu.

La prima coppia, durante la gestione dell'elettricista, ha ritrovato lo smalto che appariva perso quando in panchina sedeva Montella. I due cervelli della squadra sono sembrati emblematicamente appannati nella prima fase del campionato. La confusione del contesto nel quale erano inseriti non agevolava il concertare collettivo e, quindi, sminuiva le loro doti.

La migliore organizzazione di gioco, invece, li ha portati ad avere maggior idee e fiducia, ritrovando sicurezza. La squadra ha aiutato loro ad esprimersi meglio e, viceversa, loro hanno aiutato la squadra a girare di più. Lanci, tocchi e verticalizzazioni si sono moltiplicati, il playmaking del duo è diventato sempre più fluido e la manovra della squadra ha fatto un salto di qualità.

Le statistiche parametrate per 90 minuti dicono che entrambi provano oltre 70 passaggi (74.2 l'argentino, 70.3 l'italiano), con percentuali di precisione molto alte (il 91% Biglia e l'85.5% Bonucci). Un contributo essenziale per il gioco della squadra, ma che pareva utopico nell'era montelliana, in cui entrambi sembrava avessero subito l'incantesimo dei mostriciattoli di Space Jam.

Nel 4-3-3 di Gattuso, Bonaventura e Çalhanoğlu, invece, rispettivamente mezzala ed ala, compongono la decisiva catena di sinistra. Benché gli attacchi si sviluppino prevalentemente a destra (40% dei casi), spesso il gioco si sviluppa dall'altra parte. Questo anche perché i due giocatori citati sono diventati perfettamente interscambiabili nello scacchiere di Rino. Con equilibrio, si alternano in costruzione e attacco alla profondità, migliorandosi a vicenda.

Durante la gestione Montella, né l'uno né l'altro avevano trovato una precisa collocazione in campo. I loro ruoli, come quelli di diversi compagni di squadra, erano un mistero affidato alla lunaticità delle intenzioni dell'allenatore. Nella confusione generale erano stati risucchiati anche i talenti dei due giocatori che, Suso a parte, oggi rappresentano le più importanti frecce nella faretra di Gattuso.
 

A certificare l'Effetto Rino tra questi quattro beneficiari ci ha pensato il CIES, l'Osservatorio calcistico della FIFA. L'organo ha diramato la lista dei 10 migliori giocatori, ruolo per ruolo, degli ultimi tre mesi. Escluso Bonucci, gli altri milanisti sono presenti: Biglia si piazza quinto tra i centrocampisti difensivi, Bonaventura ottavo tra i box-to-box, Çalhanoğlu terzo tra le ali. A loro si aggiungono Suso, quarto tra le ali e Donnarumma, ottavo tra i portieri.

What if


Dalla 15a giornata ad oggi, il Milan ha conquistato 29 punti. Meglio hanno fatto solo Juventus (41) e Napoli (35).Ciò significa che da quando Rino Gattuso è l'allenatore del Milan, la squadra rossonera ha avuto un rendimento da terza della classe. Un posizionamento che, effettivamente, le spetterebbe se avesse tenuto tali medie fin dall'inizio della stagione. Infatti, 29 punti conquistati in 14 gare si traducono in 2.07 punti a partita. Meglio anche dei 2.03 della Roma, attualmente terza in Serie A.

E considerando il rendimento tenuto nella fase più gattusiana, ovvero a partire dalla 20a giornata, il gap con le squadre di testa si riduce notevolmente: appaiata al Napoli a quota 25, il Milan è secondo solo alla Juventus, capolista della micro-classifica con 28 punti.

La compattezza difensiva, assente nella gestione di Montella, è uno dei segreti di queste statistiche impressionanti. I rossoneri, infatti, sono una delle sei squadre imbattute nel 2018 in Europa (le altre sono Juventus, Barcellona, Borussia Dortmund, Tottenham e Monaco). Considerando i dati a partire dalla 20a giornata, la difesa del Milan è, inoltre, la seconda del continente con appena 5 goal subiti.


E nonostante il rapporto tiri/goal non sia eccezionale, anche in attacco la gestione Gattuso ha dato stabilità, migliorando il rendimento statistico. Il suo Milan tira 16,8 volte a partita, di più nei principali campionati europei fanno solo Real Madrid (17,9), Tottenham (17,4), Napoli (17) e Paris Saint-Germain (17). Insomma, il rodaggio ha funzionato su entrambi i lati del campo.

Verrebbe, a questo punto, da chiedersi dove sarebbe ora il Milan se avesse avuto queste statistiche dall'inizio della stagione. Spalmando la media gattusiana sulle 29 giornate disputate, si ottengono 60 punti (a fronte dei 50 realmente ottenuti). Una quota da qualificazione in Champions, obiettivo dichiarato a inizio stagione e sembrato irrimediabilmente sfumato a causa della gestione Montella.

Incredibilmente, però, il cambio in panchina ha riabilitato i sogni dei tifosi rossoneri: il Milan si trova oggi a -4 dall'Inter quarta in classifica, con il derby da recuperare. La concorrenza dei nerazzurri e della Lazio non sembra più irresistibile. L'Inter è ancora un work in progress, la squadra della Capitale, invece, sta vivendo un fisiologico appannamento.

Prima di affrontare l'Inter, però, il Milan giocherà contro la Juve. Successivamente affronterà il Napoli e altri avversari tosti come Atalanta e Fiorentina. Si corre, quindi, il rischio di aver incensato il calabrese troppo presto e di dover rivalutare l'operato di Gattuso in altra maniera a fine campionato.

Tuttavia, anche se bisognerà ricalcolare le medie milaniste al ribasso, rimane quanto di buono detto finora. Rino l'elettricista ha preso una squadra intermittente e le ha dato una luce stabile. Forse a fine stagione quest'ultima sarà più fioca, ma l'allenatore calabrese ha saputo intervenire in modo pronto e deciso, donando alla squadra l'elettricità che lo contraddistingue.